Questo capita a far parte della "fascia alta dei morti di fame", i cosiddetti lavoratori intellettuali, categoria mirabilmente descritta da Silvia Bencivelli, giornalista scientifica e con un curriculum "rapsodico" di tutto rispetto, in questo libricino del 2012.
Silvia Bencivelli la seguo da un po' su Facebook e twitter, credo dopo averla vista in tv, a Nautilus (ma potrei sbagliarmi), e ho scoperto che sarà anche presente al Convegno del CICAP di settembre. Volevo leggere un suo libro, ma sia "Irrazionali e contenti" - la sua ultima fatica insieme a Giordano Zevi - sia "Comunicare la scienza", scritto con Francesco P. De Ceglia, non sono disponibili in versione ebook. E io ho fatto la promessa di non comprare più libri cartacei almeno fino a Natale, che in casa non ci entriamo più. Così ho cercato un'alternativa e mi sono imbattuta in questo volumetto. Mi ha incuriosito soprattutto il titolo.
Un furetto inquieto*, ecco come mi immaginavo la Bencivelli mentre leggevo: piccolina ma "con un bel personalino", sempre in movimento, sempre a viaggiare su e giù, sempre a barcamenarsi tra mille impegni, idee, articoli, senza orari o vincoli di sorta. Insomma, una vera work alcoholic, per dirla in una maniera che va tanto di moda. Farebbe quasi invidia: pensate che figata un lavoro che adori e per di più senza costrizioni, che ti puoi anche smazzare la sera sul divano! Però, ecco... non è esattamente così. Per carità, Silvia Bencivelli adora il suo lavoro a partita iva, se l'è scelto e non vorrebbe cambiarlo, ma è anche vero che ormai, in Italia, chi svolge una professione creativa deve contare solo sulle proprie forze, deve imparare una miriade di cose che esulano completamente da quelle che sono le sue competenze ma, soprattutto, deve accettare che partita iva sta per "ti tratto come un dipendente senza le tutele di un dipendente e se non ti sta bene ce ne sono altri cento lì fuori disposti a lavorare anche gratis".
Ecco, parliamo anche dei soldi - e finalmente una persona schietta che ne parla!- che sono, in generale, un problema di tutti, ma che per i liberi professionisti possono diventare un motivo fisso di insoddisfazione. Stare sempre a contrattare, essere pagati a 6/9/12 mesi a seconda del vezzo del cliente, vedere il proprio lavoro perennemente svalutato, pagato la metà dell'anno prima, se e quando è pagato, non è sempre piacevole.
E quindi, soluzioni? Ce ne sono?
La Bencivelli propone le sue riflessioni e offre il suo sguardo disincantato ma ironico sulla categoria dei lavoratori creativi, con un punto di vista che non posso e non voglio riportare qui perché rischio di essere riduttiva e banalizzare un ragionamento molto complesso.
Però è una lettura che consiglio sicuramente, perché col suo stile leggero e scanzonato "castigat ridendo mores".
Ammetto che il mondo visto dal suo punto di vista di Partita Iva (vera) è davvero lontano dal mio. Insomma, io sono tutto il suo contrario: nonostante sia più giovane di lei, sono dipendente, a tempo indeterminato, madre di due figli, con la vita scandita - per forza di cose - da orari fissi che si ripetono tutti i giorni, in un loop continuo. Però sono sempre di corsa, anche io. Anche io tiro continui bidoni agli amici e passo il tempo a scusarmi via mail; sono perennemente in ritardo col lavoro (e cerco disperatamente di lavorare da casa con due nani che fanno di tutto per non farmi concentrare), rincaso stravolta e mi devo inventare la cena perché il frigo è vuoto non avendo fatto in tempo a fare la spesa. Certo, non ho la preoccupazione di inseguire i creditori o procacciarmi nuovi lavori, avendo uno stipendio fisso ogni mese, e di sicuro dormo tutte le notti sotto lo stesso tetto (anche perché, se non lo facessi, si chiamerebbe abbandono di minore). Confesso che ogni tanto ho sognato un lavoro come il suo, ma vedo che non è tutto oro quel che luccica. Mi ha fatto bene leggere questo libro, prometto che da ora in poi mi lamenterò un po' meno!
[Scusate la conclusione molto personale, ma visto che la Bencivelli usa l'argomento della dipendenza da lavoro per parlare della condizione assurda delle partite Iva in Italia, io me ne approfitto e uso lei come scusa per parlare della mia situazione. È terapeutico e risparmio i soldi dello psicologo. So che lei apprezzerebbe, o almeno lo spero!]
Silvia Bencivelli la seguo da un po' su Facebook e twitter, credo dopo averla vista in tv, a Nautilus (ma potrei sbagliarmi), e ho scoperto che sarà anche presente al Convegno del CICAP di settembre. Volevo leggere un suo libro, ma sia "Irrazionali e contenti" - la sua ultima fatica insieme a Giordano Zevi - sia "Comunicare la scienza", scritto con Francesco P. De Ceglia, non sono disponibili in versione ebook. E io ho fatto la promessa di non comprare più libri cartacei almeno fino a Natale, che in casa non ci entriamo più. Così ho cercato un'alternativa e mi sono imbattuta in questo volumetto. Mi ha incuriosito soprattutto il titolo.
Un furetto inquieto*, ecco come mi immaginavo la Bencivelli mentre leggevo: piccolina ma "con un bel personalino", sempre in movimento, sempre a viaggiare su e giù, sempre a barcamenarsi tra mille impegni, idee, articoli, senza orari o vincoli di sorta. Insomma, una vera work alcoholic, per dirla in una maniera che va tanto di moda. Farebbe quasi invidia: pensate che figata un lavoro che adori e per di più senza costrizioni, che ti puoi anche smazzare la sera sul divano! Però, ecco... non è esattamente così. Per carità, Silvia Bencivelli adora il suo lavoro a partita iva, se l'è scelto e non vorrebbe cambiarlo, ma è anche vero che ormai, in Italia, chi svolge una professione creativa deve contare solo sulle proprie forze, deve imparare una miriade di cose che esulano completamente da quelle che sono le sue competenze ma, soprattutto, deve accettare che partita iva sta per "ti tratto come un dipendente senza le tutele di un dipendente e se non ti sta bene ce ne sono altri cento lì fuori disposti a lavorare anche gratis".
Ecco, parliamo anche dei soldi - e finalmente una persona schietta che ne parla!- che sono, in generale, un problema di tutti, ma che per i liberi professionisti possono diventare un motivo fisso di insoddisfazione. Stare sempre a contrattare, essere pagati a 6/9/12 mesi a seconda del vezzo del cliente, vedere il proprio lavoro perennemente svalutato, pagato la metà dell'anno prima, se e quando è pagato, non è sempre piacevole.
E quindi, soluzioni? Ce ne sono?
La Bencivelli propone le sue riflessioni e offre il suo sguardo disincantato ma ironico sulla categoria dei lavoratori creativi, con un punto di vista che non posso e non voglio riportare qui perché rischio di essere riduttiva e banalizzare un ragionamento molto complesso.
Però è una lettura che consiglio sicuramente, perché col suo stile leggero e scanzonato "castigat ridendo mores".
Ammetto che il mondo visto dal suo punto di vista di Partita Iva (vera) è davvero lontano dal mio. Insomma, io sono tutto il suo contrario: nonostante sia più giovane di lei, sono dipendente, a tempo indeterminato, madre di due figli, con la vita scandita - per forza di cose - da orari fissi che si ripetono tutti i giorni, in un loop continuo. Però sono sempre di corsa, anche io. Anche io tiro continui bidoni agli amici e passo il tempo a scusarmi via mail; sono perennemente in ritardo col lavoro (e cerco disperatamente di lavorare da casa con due nani che fanno di tutto per non farmi concentrare), rincaso stravolta e mi devo inventare la cena perché il frigo è vuoto non avendo fatto in tempo a fare la spesa. Certo, non ho la preoccupazione di inseguire i creditori o procacciarmi nuovi lavori, avendo uno stipendio fisso ogni mese, e di sicuro dormo tutte le notti sotto lo stesso tetto (anche perché, se non lo facessi, si chiamerebbe abbandono di minore). Confesso che ogni tanto ho sognato un lavoro come il suo, ma vedo che non è tutto oro quel che luccica. Mi ha fatto bene leggere questo libro, prometto che da ora in poi mi lamenterò un po' meno!
[Scusate la conclusione molto personale, ma visto che la Bencivelli usa l'argomento della dipendenza da lavoro per parlare della condizione assurda delle partite Iva in Italia, io me ne approfitto e uso lei come scusa per parlare della mia situazione. È terapeutico e risparmio i soldi dello psicologo. So che lei apprezzerebbe, o almeno lo spero!]
* In realtà non so davvero come sia un furetto, tantomeno un furetto inquieto, ma nel mio immaginario è così. E, ovviamente, spero che la Bencivelli non se la prenda a male: non vuole essere in nessun modo un paragone offensivo, è solo l'immagine che mi si è formata nella mente mentre leggevo.
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