"Non è fare soldi che mi spinge. È il gioco grandioso che c'è dietro. Non v'è nulla di tanto eccitante quanto guidare una grande impresa. È il gioco più affascinante del mondo - e non porta alcun dispiacere." H.G.S.
Dopo aver visto un paio di puntate della serie televisiva "Mr. Selfridge", ho dovuto assolutamente leggere la biografia su cui è basata. Come ho già avuto modo di dire, le biografie (o le autobiografie) sono tra le mie letture preferite: il confronto con le vite delle altre persone, persone senza dubbio fuori dalla norma e che hanno vissuto come in un vero e proprio romanzo, è uno sprone immenso e sicuramente più interessante di qualunque storia inventata.
In Italia, "Mr Selfridge: Shopping e Seduzione" di Lindy Woodhead è edita da Vallardi Editore e si trova facilmente su Amazon.
È la storia della vita straordinaria di Harry Gordon Selfridge, piccolo contabile di Chicago che, partendo dal nulla, riuscì a rivoluzionare tutti i canoni dello shopping, prima negli Stati Uniti e poi, seguendo la sua smisurata ambizione, a Londra.
"Selfridge's, più di qualsiasi altro negozio a Londra, capeggiò quella rivoluzione che cambiò per sempre l'idea dello shopping e che si rivelò, nel suo aspetto forse più significativo, nel mondo in cui Selfridge spingeva i clienti a dimenticare rovine e calamità, a lasciarsi andare al piacere di comprare qualcosa, anche un oggetto modestissimo, e a sentirsi speciali per questo. Quando il negozio aprì, tutti i visitatori ricevettero in dono delle chiavi d'argento in miniatura, perché potessero sentirsi a casa."
È incredibile come la visione che aveva, in tutto, fosse grandiosa e oltremodo moderna (stiamo parlando dei primi del Novecento e tutto quello che oggi ci sembra scontato, al tempo era quasi scandaloso). Capiva la gente e anticipava i suoi desideri, riuscendo a parlare a tutte le fasce della popolazione: fu il primo a pensare allo "scantinato delle occasioni" (i moderni outlet) per chi voleva comprare da Selfridge's senza spendere una fortuna, fino ad arrivare al mega lusso dei piani alti. Fu sempre il primo a far mettere la merce su dei banchi, in modo che la gente la potesse toccare. In passato, si trovava su scaffali altissimi, lontana dagli acquirenti, e solo i commessi con delle scale potevano arrivare a prenderla. Si entrava in negozio sapendo già che cosa si sarebbe comprato, mentre Selfridge voleva che la gente entrasse senza un motivo preciso nel suo grande magazzino, solo per coccolarsi e per vivere un'esperienza sensoriale.
"Creare delle esperienze era un punto centrale del suo modo di operare" (...) Diceva sempre: "L'arte di vendere consiste nell'accendere l'immaginazione. Una volta che l'immaginazione si è messa in moto, la mano andrà automaticamente al portafogli."
Aveva capito, sempre per primo fra gli imprenditori del tempo, l'importanza della pubblicità e spendeva una fortuna per acquistare pagine e pagine sui maggiori giornali dell'epoca. Però, e su questo punto fu irremovibile, non fece mai pubblicità ingannevole: aveva la sua etica che gli imponeva di dire sempre la verità ai suoi clienti e sembra che le persone apprezzarono sempre questa sua onestà.
Fu anche pioniere nell'avere un rapporto umano con i quasi tremila dipendenti (i suoi modi di fare ricordano tantissimo le tecniche motivazionali che si attuano nelle grandi aziende) e a fornire loro dei benefits in funzione degli obiettivi mensili raggiunti, in modo che lavorare da Selfridge's diventasse un'ambizione per molti giovani. Fissato con l'immagine e l'igiene, pretendeva che tutti fossero sempre perfetti, con unghie e capelli a posto, e ogni mattina passava personalmente in rassegna il personale, mandando bigliettini scritti di proprio pugno ai dipendenti, sia per elogiare, sia per far notare qualche mancanza. Lo staff lo adorava e faceva di tutto per compiacerlo.
"L'intrattenimento, il servizio al cliente e il rapporto qualità-prezzo. Il primo li spingerà ad entrare, il secondo e il terzo li terranno dentro."
La sua vita era vissuta come uno spettacolo continuo, guadagnava tanto ma spendeva tanto, troppo di più, per stupire in continuazione. Nulla era troppo per lui: i suoi grandi magazzini ospitarono party grandiosi, mostre, spettacoli, persino aerei in esposizione, continuando nel frattempo a espandersi in Oxford Street e nelle vie intorno. L'architettura del suo negozio doveva essere monumentale, nulla era lasciato al caso; le vetrine erano vere e proprie opere d'arte, illuminate costantemente per ricordare a tutti che Selfridge's era il più grande monumento della città, dopo la Torre di Londra. E questa fu la fortuna di Selfridge, ma anche la sua rovina.
"Possedeva una visione commerciale e un coraggio di prim'ordine, uniti purtroppo alla vanità e all'orgoglio di essere una persona pubblica, che tanti uomini ha rovinato facendo loro perdere il senso delle proporzioni, in quell'esaltazione dell'essere circondati da adulatori" (Lord Woolton)
In realtà, fosse stata solo la mania di grandezza negli affari, non sarebbe stato un gran problema. Gli affari, nonostante le guerre e la recessione, andarono sempre a gonfie vele, grazie al suo fiuto più unico che raro.
Quello che davvero gettò H.G. Selfridge sul lastrico fu la sua passione smodata per il gioco d'azzardo, insieme alla sua altrettanto smodata passione per le donne di spettacolo: un mix che lo fece morire in povertà, estromesso da qualunque carica - anche solo onoraria - dal Consiglio d'Amministrazione di quel negozio che aveva immaginato e che aveva fatto crescere come un figlio.
Riassumere la vita di quest'uomo è davvero impossibile, fu appassionante e grandiosa in tutto. Un'altra biografia da leggere assolutamente, anche per lo spaccato unico che offre della Londra dei primi del secolo scorso.
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